Questa mattina sono state pubblicate 11 delle 13 sentenze pronunciate dalla VII Sezione del Consiglio di Stato relative agli appelli proposti dal Comune di Lecce – rappresentato in giudizio dagli avvocati Silvestro Lazzari e Laura Astuto – in materia di concessioni demaniali, avverso altrettante precedenti sentenze del Tar Lecce. Tema del contendere il diniego opposto dal Comune di Lecce alla richiesta di proroga delle concessioni balneari al 2033, a cui Palazzo Carafa aveva affiancato un interpello finalizzato alla concessione di una proroga tecnica al 2023, in attesa della riforma del settore e delle gare pubbliche.
Il Consiglio di Stato ha confermato la piena legittimità delle iniziative del Comune di Lecce, anche alla luce delle sentenze n. 17 e 18 /2021 rese dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, convocata dal presidente Filippo Patroni Griffi dopo una lettera del sindaco Carlo Salvemini con la richiesta di giungere da parte del massimo organo della giustizia amministrativa ad un definitivo e non più rinviabile chiarimento sulla materia.
“Giunge al termine una vicenda che ci ha visti impegnati in questi anni a ribadire la piena legittimità dell’operato del Comune di Lecce a fronte della illegittimità del sistema delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali – dichiara il sindaco Carlo Salvemini – una battaglia di principio condotta non contro i balneari ma per l’affermazione dell’interesse pubblico che sempre guida il nostro operato. Ringrazio gli avvocati Lazzari e Astuto che hanno rappresentato in maniera impeccabile il Comune in questa vicenda. I titoli concessori devono avere una scadenza perché le spiagge non sono proprietà privata e inamovibile, ma un bene comune scarso, che ha un valore importante per la comunità e che deve essere concesso attraverso procedure di evidenza aperte a tutti, anche ai numerosi outsider che vogliono misurarsi con il fare impresa balneare, sportiva, culturale o attività sociali destinate ai cittadini fragili sul demanio marittimo. E che fino ad oggi hanno visto le loro legittime aspettative negate dalla chiusura immotivata di un settore economico che invece può dare tanto allo sviluppo del Paese. Resta aperto il tema nazionale dell’equilibrio che occorre garantire tra spiaggia pubblica e spiaggia in concessione lungo tutto il litorale. Serve una legge sul demanio marittimo che garantisca la tutela ambientale, la cura e l’accessibilità delle spiagge per tutti, insieme alla valorizzazione delle potenzialità economiche di crescita che essere possono generare”.
Le sentenze di oggi accolgono i ricorsi del Comune di Lecce. Il Consiglio di Stato, in sintesi, ha ritenuto che i titolari di stabilimenti balneari non possono beneficiare della proroga della propria concessione ai sensi della legge 145/2018, giudicata dall’Adunanza plenaria, dunque “in sede nomofilattica”, contraria al diritto dell’Unione europea e dunque disapplicabile anche dalla pubblica amministrazione. In questa linea il provvedimento di diniego adottato all’epoca dal Comune di Lecce, fondato proprio sulla prevalenza del diritto sovranazionale, è legittimo. Solo per «evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere» e in considerazione «dei tempi tecnici» necessari per espletare le gare ai sensi dell’art. 12 della direttiva Bolkestein (2006/123/CE) l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha stabilito che le concessioni «già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023».
L’Adunanza plenaria, ricordano le sentenze, ha affermato che le concessioni balneari presentano un «interesse transfrontaliero» che rende il relativo affidamento soggetto al diritto sovranazionale per la loro «indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri», e trae origine dal «dato di oggettiva e comune evidenza, legata alla eccezionale capacità attrattiva che da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale (…) per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica».
Da applicare dunque al sistema delle concessioni sono le «regole della concorrenza e dell’evidenza pubblica» di matrice europea, finalizzate ad aprire settori di interesse economico alla concorrenza e a rimuovere situazioni di ostacolo all’ingresso di nuovi operatori, ossia le proroghe delle concessioni in essere. Ciò anche per la «scarsità» del demanio marittimo, in Italia aggravata dalla consistente occupazione da parte di stabilimenti balneari (il Cds cita i “picchi” del 70% raggiunti in alcune Regioni), dall’erosione, dall’inquinamento e dai limiti quantitativi di costa assegnabili in concessione stabiliti in molte Regioni.
L’Adunanza plenaria, citata dalle sentenze, ha inoltre confermato il carattere autoesecutivo della direttiva 2006/123/CE perché l’art. 12 della stessa «ha un livello di dettaglio sufficiente a determinare la non applicazione della disciplina nazionale che prevede la proroga ex lege fino al 2033 e ad imporre, di conseguenza, una gara rispettosa dei principi di trasparenza, pubblicità, imparzialità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità».
Infine per il Giudice amministrativo anche la «moratoria emergenziale» prevista dall’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19; convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77) «presenta profili di incompatibilità comunitaria del tutto analoghi» a quelli individuati in relazione alla proroga ex art. 1, comma 682, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, per l’assenza di «alcuna ragionevole connessione tra la proroga delle concessioni e le conseguenze economiche derivanti dalla pandemia, presentandosi semmai essa come disfunzionale rispetto all’obiettivo dichiarato e di fatto diretta a garantire posizioni acquisite nel tempo».