Nel passato a Nardò, nei giorni precedenti la Pasqua, erano diffusi diversi riti e tradizioni popolari. Nelle case le donne svolgevano le pulizie di fino affinchè tutto fosse lindo e pulito per accogliere gli ospiti nella giornata della festa di Pasqua. Le posate venivano bollite per eliminare le tracce di contaminazione dalla carne e la biancheria veniva lavata facendo il cosiddetto “cofanu” con acqua bollente e cenere per disinfettare.
Il Sabato Santo, a mezzoggiorno, al suono delle campane che annunciavano la Resurrezione di Gesù, in qualsiasi posto ci si trovava si sospendevano le attività in corso. I contadini, che stavano lavorando nelle campagne, issavano la zappa in aria in segno di festa e si mettevano “a ginucchiuni” (si inginocchiavano) facendosi il segno della croce. Le donne si davano da fare e iniziavano i preparativi in cucina per il gran giorno di festa. La vigilia della Pasqua si preparavano “li milaffanti”, una pastina fatta con semola di grano duro, uova, formaggio, sale e prezzemolo, che veniva lavorata fino ad essere ridotta in piccoli grumi e veniva fatta cuocere nel “brodu di iaddhrina” (brodo di gallina).
La Pasqua era occasione di serenità e comunione familiare dopo i 40 giorni della Quaresima, che era un periodo che durava dal Mercoledì delle Ceneri al Sabato Santo e durante il quale non si mangiava la carne. Attraverso il pranzo di Pasqua si realizzava un momento fondamentale della tradizione contadina.
Le credenze popolari influenzavano il vivere quotidiano poiché si sentiva il bisogno naturale di rinnovarsi tramite la pratica di gesti di conversione, di penitenza, di digiuno e di astinenza.
I contadini, in prossimità della Pasqua, erano più rilassati dopo la continua preoccupazione di non farcela con le provviste invernali perché le condizioni agricole erano misere e nelle case si tendeva alla parsimonia, mangiando solo minestre e pane fatto in casa.
I dolci pasquali, in particolare la “palomba”(colomba), erano ricchi di uova, simbolo di rinascita e di buon auspicio e venivano preparati per poi essere regalati ai parenti, ai vicini o agli amici. La “palomba” era un dolce tradizionale che veniva preparato dalle donne, sia nella versione salata che in quella dolce, con al centro un uovo sodo, simbolo di vita nuova ed era offerto a fine pranzo insieme ad altri tipici dolci pasquali come i quaresimali (biscotti con mandorle), “li pitteddhre” (crostatine di pasta frolla a forma di stella ripiene di mostarda o cotognata), “li scagliozzi” e “li amaretti”. La “palomba” rappresentava l’abbondanza e la fertilità. Nelle famiglie più abbienti era usanza preparare l’agnellino di pasta “di mendula” (pasta di mandorla), simbolo del sacrificio, dell’innocenza e della bontà di Gesù.
Alle bambine veniva donata “la pupa”, preparata con pasta di pane o con pasta frolla che all’interno della pancia conteneva un uovo sodo, simbolo di fertilità, di pace e di felicità domestica. “La pupa” decorata con zuccherini colorati e nastrini rossi, in segno di amore e di passione, era anche il dono del fidanzato alla fidanzata o del giovanotto che si voleva dichiarare alla futura sposa.
La mattina della domenica di Pasqua le donne si alzavano molto presto per mettere a cuocere il sugo con la carne di agnello o di capretto. La cottura durava molte ore perché gli ingredienti dovevano insaporirsi a fuoco lento.Nel frattempo preparavano “li recchie e li curti e gruessi” (orecchiette e maccheroncini fatti in casa).
L’agnello veniva cucinato anche al forno con patate o arrostito. Inoltre si preparavano “li mboti”, involtini di interiora d’agnello avvolti dalle budelline , conditi con sale, pepe e un rametto di prezzemolo e cotti alla brace.
La carne, in quel tempo, era un cibo che solo le persone facoltose potevano permettersi, a differenza della gente più povera, che poteva gustarla solo nei giorni di festa. Per questo motivo al contadino sembrava che la tavola a Pasqua fosse imbandita come quella di un re. Le diverse pietanze, servite durante il pranzo, erano motivo di orgoglio per lui, che dopo aver mangiato tanto pane duro e minestre di legumi o verdure poteva finalmente assaporare la carne! Infatti un proverbio neretino recita: ”A Pasca pane e carne”.
La Santa Pasqua simboleggiava il passaggio dalla morte del peccato ad una nuova vita donata da Gesù Risorto ed anche la rinascita della natura, pronta a donare nuovi germogli e nuovi frutti.
Il piacere stava nel consumare il cibo tutti insieme vivendo momenti di condivisione, di convivialità, di gioia, di rispetto, di speranza, di amore e di pace.
Questo lavoro di ricerca è stato svolto dagli alunni delle classi 3^A/B dell’I.C. POLO 1Nardò-Le del plesso “Giovanni XXIII”.
Un grazie di cuore a Ninuzza, una nonna che da poco ha compiuto 101 e che è stata la memoria storica della nostra indagine per far conoscere e tramandare alle nuove generazioni le nostre tradizioni popolari e le nostre radici.
Gli Insegnanti:
Adamo Mariella
Bove Lucia
Barrotta Cosimo
Cuppone Barbara
Vaglio Natalia