La morte prematura di un caregiver innesca dinamiche psicologiche e relazionali che possono mettere a rischio la salute psichica dei bambini.
Il bambino sperimenterà la perdita di parti del proprio sè collegate all’oggetto: l’odore o il modo di essere tenuto in braccio lasciano una traccia corporea ed emotiva, e l’interruzione di questo legame comporta una frammentazione legata all’aspettativa che il genitore sarà sempre disponibile.
Questo causerà una ferita all’integrità e alla continuità del senso di sé del bambino, che sperimenterà un profondo senso d’inadeguatezza legato alla propria incapacità di evitare l’evento.
L’egocentrismo porta il bambino a credere di essere la causa principale degli eventi che lo circondano, per cui può facilmente ritenere che a causare la morte del genitore sia stato qualcosa legato al suo comportamento. Queste fantasie possono radicarsi al punto da creare un’immagine di sé come essere pericoloso e aggressivo, per poi sfociare in un senso di autocritica e colpa.
Dal punto di vista clinico, i bambini possono manifestare una fisiologica ansia da separazione a seguito dell’allontanamento dal caregiver; tuttavia, considerando il lutto un trauma, il bambino può sviluppare un Disturbo da Stress Post-Traumatico, con la perdita dei livelli di sviluppo precedentemente acquisiti; in questi casi possono comparire aggressività o comportamenti sessuali non appropriati all’età, uniti allo sviluppo di nuove paure.
Già intorno ai 3 anni, i bambini cominciano ad avere consapevolezza di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti e quindi anche della morte e della sofferenza per la perdita di rapporti importanti. Questo è lo stadio della rappresentazione mitico-magica della morte, che non è pensata come negazione della vita, ma come temporanea e reversibile assenza. Il bambino riconosce la morte, ma nega le sue conseguenze, ignorando la contrapposizione vivo-morto e ritenendola una condizione non definitiva. Per il bambino in età prescolare, la morte assume quindi una valenza transitoria: ciò non significa che i bambini non risentano della perdita, anzi possono manifestare alcuni tipi di regressione, come il ritorno dell’Ansia da Separazione che solitamente caratterizza i primi 2 anni di vita e implica il rifiuto di andare a scuola con conseguente isolamento sociale.
Nel bambino possono comparire altri disturbi, come il Mutismo Selettivo o disturbi del sonno, con il rifiuto di dormire da soli, difficoltà di addormentamento, risvegli notturni, pavor nocturnus e incubi. Le caratteristiche del sonno infantile sono da attribuirsi all’immaturità del sistema nervoso del bambino: con l’adeguato sviluppo della formazione reticolare ascendente e di strutture come il proencefalo e il ponte, il bambino acquisisce la capacità di padroneggiare i ritmi circadiani. Tale acquisizione gli consente anche di apprendere il ciclo giorno-notte e scandire i tempi per i pasti o altri tipi di interazione sociale. Questa maturazione si connette alla stimolazione cognitiva e all’interazione socio-affettiva, al sistema di caregiving, al contesto culturale e all’adattamento psicosociale del bambino, fattori che si presume subiscano un dislocamento nel caso di un lutto avvenuto in età precoce.
Un’altra regressione può riguardare la perdita del controllo sfinterico (con enuresi o encopresi), legata agli effetti che un lutto può avere sulla maturazione dei centri della minzione e della defecazione. Possono comparire disturbi dell’alimentazione, all’origine dei quali sono rintracciabili molteplici fattori che interagiscono in un periodo caratterizzato da rapidi mutamenti nello sviluppo biologico, affettivo e cognitivo. L’attenzione è posta sia a fattori intrinseci, connessi quindi ai processi maturativi, sia a fattori estrinseci, valutabili nel contesto delle interazioni bambino-caregiver. Altre regressioni possono riguardare il ritorno al baby-talk o la comparsa di atteggiamenti di collera e pianto ingiustificato: tutto ciò, a patto che duri un breve periodo, può essere funzionale, perché permette al bambino di ripristinare il suo equilibrio. Tuttavia, questi comportamenti possono persistere ed esacerbare lo sviluppo di nuove paure, scaturite dalla consapevolezza del bambino di non potersi più affidare al genitore assente.
Un’altra modalità ricorrente nei bambini di età prescolare che hanno perso un genitore è la rabbia provata verso il genitore scomparso. Non potendo sfogare con lui questo sentimento, i bambini possono mordersi o strapparsi i capelli, ma possono anche rivolgere la rabbia alla figura di accudimento rimasta in vita che, con tutta la dedizione possibile, non replicherà mai in maniera esatta le azioni del genitore deceduto.
Questo può innescare sentimenti di rifiuto e ostilità, che intaccano il già precario equilibrio familiare. La rabbia può comparire in concomitanza a sentimenti di idealizzazione del genitore morto, visto dal bambino come onnipotente e capace di tornare in vita. In effetti, dopo la perdita di un caregiver, i bambini fantasticano una riunificazione o la mettono in atto attraverso il gioco. Spesso queste situazioni sono precorritrici di sintomi psicosomatici: il bambino privilegia inconsciamente il linguaggio del corpo innescando un sintomo fisico senza alcuna causa organica, ma che rappresenta la difesa da una sofferenza emotiva che non può essere elaborata in altro modo. I disturbi psicosomatici comportano danni a livello organico e sono causati o aggravati da fattori emozionali. I sintomi di natura psicosomatica possono manifestarsi nell’apparato gastrointestinale, dando origine a gastrite, colite ulcerosa e ulcera peptica; nell’apparato cardiocircolatorio, provocando tachicardia o aritmie, o nell’apparato respiratorio, con asma bronchiale o sindrome iperventilatoria. Inoltre, disturbi psicosomatici possono palesarsi nell’apparato urogenitale, nel sistema cutaneo, attraverso psoriasi, acne o dermatite atopica, nel sistema muscoloscheletrico, con l’insorgere di cefalee, e nell’alimentazione.
L’età scolare è invece caratterizzata dal realismo infantile e dalle rappresentazioni concrete: il bambino associa immagini al tema della morte, che non possiedono un valore simbolico, ma producono angosce concrete.
Intorno ai 7 anni compare la paura della morte, propria o altrui, che diventa un concetto importante con cui confrontarsi. Tuttavia, la nostra società compie un grosso sforzo per ignorare la realtà della morte, tanto che riti funebri e lutto sono relegati a momenti marginali, a scapito della possibilità di elaborazione emotiva della sofferenza. In generale, fino ai 10 anni, la consapevolezza della morte evolve verso un’accettazione più tangibile della stessa, confermata dalle frequenti domande sulla morte poste dai bambini e ai continui riferimenti alla morte nei cartoni animati. Il bambino comprende che la persona che muore non esiste più, e comincia a negoziare con se stesso il carattere permanente della morte.
Entro gli 11 anni intervengono due modificazioni della nozione di morte: in primis, si assiste al passaggio dal riferimento personale (la propria morte o quella di persone care) al riferimento universale, che si riflette nella convinzione che tutti prima o poi moriranno. In secondo luogo avviene il passaggio dalla morte ritenuta temporanea e reversibile, alla stessa esperienza considerata irreversibile e definitiva. Il bambino associa la morte più a eventi esterni che a cause naturali: da qui l’angoscia di perdere qualcuno in circostanze di separazione anche temporanea, come quella per l’ingresso a scuola. Questa fase è anche caratterizzata dalla strutturazione del codice morale, che governa e dà senso e valore alla morte stessa.
In ambito clinico, un disturbo traumatico che compare in età scolare, avrà conseguenze nell’area sociale, incidendo sul rendimento scolastico e sui rapporti con i pari. Anche in età scolare non sono rari problemi di addormentamento o mantenimento del sonno, associati a incubi, preoccupazioni per la sicurezza e a un elevato livello di arousal che interferisce con un sonno tranquillo.
Anche i bambini più grandi possono evitare in modo persistente gli stimoli associati al lutto, incorrendo a significative alterazioni dei pensieri e delle emozioni associati all’evento. Inoltre, possono sviluppare un’estrema sfiducia nei confronti del caregiver ancora in vita, dei fratelli o degli insegnanti, e un’aumentata risposta di allarme o nervosismo di fronte a rumori o movimenti inaspettati, ma comunque innocui. Non bisogna dimenticare l’eventuale sviluppo di sintomi dissociativi di distacco dal proprio corpo oppure dal mondo esterno.
Dalla preadolescenza in poi, il bambino entra nella fase delle angosce esistenziali, la cui gestione apre l’accesso alla simbolizzazione della morte stessa, alle angosce di morte e alle soluzioni ideologiche. Essendo la morte considerata un tabù, mancano strumenti e spazi condivisi per l’elaborazione del lutto, e la negazione del riconoscimento di un continuum che va dalla vita alla morte. Non si creano le condizioni per condividere le esperienze negative che, inevitabilmente, sfociano in una maggiore sofferenza, divenendo esperienze strettamente individuali.
Tutto ciò s’intensifica in adolescenza, poiché il genitore rappresenta il punto di contatto tra infanzia ed età adulta, una sorta di protesi continuativa tra due periodi di vita molto differenti tra loro.Una mancata elaborazione del lutto in adolescenza può portare problemi comportamentali, sociali e psicologici. È necessario affrontare con incisività i bisogni dei ragazzi in lutto, in termini di risorse individuali, familiari e contestuali. L’adolescente che si trova ad affrontare la malattia terminale di un genitore o un coetaneo, è angosciato dalla possibilità di dover portare questo peso da solo, abbandonato dalle persone che, come lui, si sono trovate nel vortice della malattia e ne sono pienamente assorbite. Questo sentimento è accompagnato dalla paura di apparire diversi dai coetanei ed essere stigmatizzati: ciò può portare il ragazzo al ritiro e all’isolamento o, in casi più gravi, a un disturbo depressivo. Inoltre, l’adolescente perderà la sua routine, e sarà obbligato a confrontarsi con responsabilità non commisurate alla sua giovane età.
Per quanto riguarda i risvolti clinici di un lutto in adolescenza, seppur raramente, anche a quest’età può comparire il Disturbo da Ansia da Separazione. In questi casi, il disturbo impatta in maniera ancora più aggressiva sul funzionamento dell’individuo, che reagirà con il rifiuto di pensare in termini pratici al proprio futuro. Questo disturbo può limitare la capacità degli adolescenti di affrontare cambiamenti di vita e, qualora decidessero di reagire, porterebbero con se intense preoccupazioni per coniuge e figli che si rifletterebbero in problemi di natura lavorativa e sociale.
Inoltre, il ragazzo che ha subito un lutto, può sviluppare un Disturbo da Stress Post-Traumatico, con la conseguente omissione delle aspirazioni future, la considerazione di se stesso come individuo socialmente indesiderabile e a comportamenti aggressivi che interferiranno con le relazioni e il rendimento scolastico. Giovani individui con DSPT possono adottare comportamenti agiti con minima o nulla provocazione, o comportamenti autodistruttivi, come la guida spericolata, l’abuso di alcol o droga o comportamenti autolesivi e suicidari.
I bisogni di un adolescente che deve gestire la morte di un caro sono rappresentati in primis da un maggior supporto e da un aiuto a gestire i propri sentimenti, condividendo queste esperienze con chi ha vissuto la stessa condizione. Inoltre, appare di estrema rilevanza la possibilità, per i ragazzi, di essere informati su ciò che sta accadendo e sulle conseguenze della morte in termini sociali e burocratici, accompagnati da attività ricreative e distrazionali.
La morte di un genitore impatta anche economicamente sulla famiglia: questo è un aspetto da non sottovalutare per un adolescente che spesso è costretto ad abbandonare gli studi per immettersi precocemente nel mondo del lavoro. Questo accade soprattutto quando nel nucleo familiare sono presenti fratelli più piccoli verso i quali l’adolescente svilupperà sentimenti ambivalenti di responsabilità e rabbia per non aver potuto portare a compimento i propri progetti personali. Quest’aspetto dovrebbe essere valutato dalle istituzioni, al fine di garantire un supporto economico alla famiglia, che permetta al ragazzo di portare a termine i suoi progetti.