Lecce – “La legalità è sempre una questione di scelta”: Il Col. Donato D’Amato interviene al progetto “A testa alta”

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MANIERI

Si è tenuto sabato 09 nella parrocchia di San Sabino guidata da don Sandro Quarta, il secondo incontro del percorso  “Verso il 21 marzo… Capaci di ricordare. Crescere insieme tra memoria e impegno”, nell’ambito del progetto “A testa alta”. All’evento è intervenuto il Col. Donato D’Amato, Comandante provinciale dei Carabinieri  di Lecce, che ha esortato le ragazze e i ragazzi a non aspettare di entrare nel mondo degli adulti per parlare di legalità perché legalità è fatta di rapporti interpersonali, è innanzitutto dialogo con se stessi, perché la legalità è sempre una questione di scelta, ma una scelta consapevole che non deve essere dettata dalla paura della sanzione: ”Sogno un mondo in cui non ci sia bisogno dell’Arma dei Carabinieri, perché tutti rispettano le regole” ha dichiarato il Col. D’Amato.

In rappresentanza dell’associazione Libera ha preso la parola il coreferente regionale, Valerio D’Amici, che ha sottolineato l’urgenza di uscire dalle mura delle Istituzioni, collaborare per contrastare la criminalità e contemporaneamente costruire legami nuovi, un futuro diverso, partendo dal presente, da incontri come questo: “Non dobbiamo costruire solo legalità, dobbiamo riempirla di diritti, dignità, giustizia sociale, servizi, opportunità, con il contributo di tutti, per arrivare a superare i confini e mettere in comune le energie. La Memoria è uno dei pilastri di Libera: a noi spetta conoscere per fare memoria viva e collettiva, per dare voce anche alle vittime silenti. Una vittima innocente non è una ferita solo della famiglia ma della cittadinanza, della comunità, perciò è necessario fare memoria viva per essere anche noi più vivi perché la memoria risveglia le nostre coscienze e il nostro impegno, crea un’alleanza che ci deve portare verso il 21 marzo, Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo di tutte le vittime innocenti delle mafie”.

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Molto attesa la toccante testimonianza di Pinuccio e Lella, genitori di Michele Fazio. Michele è un ragazzo barese di quindici anni, generoso, ottimista, entusiasta della vita. Il 12 luglio del 2001, mentre sta tornando a casa dalla propria famiglia, all’improvviso sente degli spari, sono attimi: un proiettile gli perfora il cranio e lui cade riverso per terra. Tutti scappano, lasciandolo solo, ma il grido lancinante di dolore di Lella lo sentono tutti: “Se mio figlio muore, vi rovino tutti!”. Nella sua toccante testimonianza Lella ci tiene subito a demolire uno stereotipo: “si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato”; ma non poteva essere Michele, un ragazzino che stava rientrando a casa per cenare con la propria famiglia a essere nel torto, ma quei “vigliacchi”. E vigliacca e maledetta Lella definisce più volte quella mamma che ha armato le mani dei propri figli e nipoti, coetanei di Michele, ordinando loro di uccidere chiunque si fossero trovati davanti. Poi si rivolge alle mamme presenti nel salone parrocchiale: “ Io ancora adesso cerco perdono perché per tanti anni ho chiuso gli occhi, sono stata omertosa per paura. Non fate come me, non dite mai ‘non sono fatti nostri ’ perché tutto ciò che ci circonda ci riguarda tutti; se vogliamo dare un futuro ai nostri figli dobbiamo collaborare e non voltare mai lo sguardo dall’altra parte”.

Il coraggio e la perseveranza di Pinuccio e Lella ha rotto il muro di omertà, silenzio, paura, connivenze seguito alla morte innocente del figlio per creare quella memoria collettiva di cui non solo Bari, ma ogni città che protegge i propri figli deve riappropriarsi. Lella e Pinuccio hanno deciso di restare a Bari vecchia, nella loro casa, in quei vicoli. A testa alta, perché la loro presenza deve testimoniare ogni giorno che lo Stato c’è e dobbiamo rispettarlo: “Stoc ddo’ ( io sto qui) esclama Lella in barese e rivolgendosi alle ragazze e ai ragazzi presenti dice: “La vita è bella, non vi fate ingannare da chi vi vuole usare! Non c’è aria sulla strada della malavita, non vi illudete che starete bene, io li ho incontrati quei ragazzi in carcere, me lo hanno detto loro. Non sciupate la vita, studiate, la scuola rappresenta il vostro futuro”.

In questa vicenda c’è un dopo pieno di speranza che parte da una corsa sfrenata su per le scale di casa dopo la notizia degli arresti degli assassini di Michele, per spalancare finalmente quelle persiane e urlare: “Adesso è primavera!”. Quell’urlo liberatorio si è trasformato in impegno concreto: l’associazione intitolata a Michele che accoglie tutti, anche i figli di quelle famiglie malavitose, li toglie dalla strada e dona loro la speranza di un futuro. La stessa speranza che questi due meravigliosi genitori testimoniano nelle parrocchie, nelle scuole, nelle carceri, per spiegare l’uguaglianza, l’amore, l’in utilità del potere, dell’odio e del rancore: l’unica ricchezza è il perdono, perché solo il perdono rende liberi.