DI Maria Chiara Calabrese
Cloe Bianco si è suicidata il 10 giugno, dandosi fuoco nel camper in cui abitava, ad Auronzo di Cadore (Belluno).
Parliamo di una persona che insegnava fisica in una scuola. Una docente allontanata dal suo posto di lavoro perché transgender, e che alla fine di una lunga spirale di discriminazione si è tolta la vita.
Una storia di ordinaria transfobia, dove per ordinaria si intende quella quotidianità che rientra nella sfera del normale.
Un costume diffuso che però non ha niente di accettabile.
Tante sono le criticità di questa vicenda, che vanno oltre il caso di cronaca in sé, non poter insegnare perché persona transgender è una discriminazione bella e buona che viola basilari diritti costituzionali, eppure ciò che è successo alla professoressa Bianco va in tale direzione, prima il demansionamento e poi l’allontanamento definitivo dall’insegnamento.
Poi c’è il capitolo della responsabilità politica. Da più parti è stata richiamata alle sue responsabilità l’Assessora Elena Donazzan, che quando Cloe si presentò alle sue classi come donna esternò pubblicamente il suo sconcerto con parole ben poco nobili.
E così ha deciso Cloe.
Quando la famiglia ti abbandona, il gruppo dei pari si disgrega, quando l’anomia sociale si dilaga e il mondo circostante ti distrugge con lo sguardo, le scelte purtroppo si restringono e diventano tragicamente coatte.
La decisione estrema è una cosa profondamente personale e viene costruita su circostanze cupe e insostituibili.
Nulla da aggiungere, se non l’oltraggio giornalistico come triste epilogo
In foto: Maria Chiara Calabrese