Se il Parlamento Italiano nei prossimi giorni approverà la legge sulle autonomie regionali voluta dal Governo targato Lega-5 Stelle si darà legalmente il via alla divisione dell’Italia e ciò senza che gli italiani siano stati adeguatamente informati e coinvolti nella decisione.
Con l’approvazione dell’autonomia delle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna l’Italia cambierà radicalmente volto. Tutto sta avvenendo in gran silenzio. A decidere se diventare autonomi dal potere centrale è la classe politica delle regioni più ricche del paese nel disinteresse e nel silenzio assordante di quella del Sud. L’autonomia richiesta riguarda diverse materie. Tali materie vanno dall’istruzione alla giustizia di pace, dalla finanza pubblica all’ambiente, dal sistema tributario al lavoro, dall’Università alla Ricerca scientifica, ecc. Per capire la portata strategica del cambiamento previsto da questa decisione basta analizzare cosa cambia sul piano dell’attribuzione delle risorse finanziarie ai singoli territori e cosa cambia, dal punto di vita costituzionale, sul versante dei diritti inalienabili dei cittadini italiani.
Oggi lo Stato incassa tutte le risorse finanziarie che i cittadini pagano e le ridistribuisce secondo parametri fondati, da una parte, sulla spesa storica e, dall’altra, sulla solidarietà verso i più deboli, meglio definita come sussidiarietà, ovvero intervento solidale dello Stato centrale a favore delle istituzioni periferiche. Con l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata l’Italia cambierà radicalmente volto, in quanto ogni Regione manterrebbe per sé dall’80% al 90% delle tasse pagate dai propri cittadini e lascerebbe allo Stato il rimanente 10-20% come proprio contributo per il funzionamento dell’intera Nazione.
In sostanza perderà la sua immagine di paese solidale per diventare un paese dominato dall’egoismo regionale. Se consideriamo che il gettito fiscale di una delle tre Regioni del Nord che stanno spingendo per l’autonomia è, nel complesso, il doppio del gettito fiscale di una Regione del Sud, ci rendiamo conto che una scuola o un ospedale del Nord riceverà un finanziamento doppio rispetto a quella del Sud, con la conseguenza di una compressione violenta dei diritti primari costituzionalmente garantiti (diritto all’istruzione, diritto alla salute, ecc.) dei cittadini del Mezzogiorno. Non solo. In questo scenario le Regioni del Nord potranno pagare i propri operatori scolastici e sanitari molto meglio di quelli del Sud, potrebbero dotare le proprie strutture al meglio della tecnologia e attrarre le migliori energie professionali da tutto il territorio italiano. Quanto sta per succedere nel funzionamento dello Stato, senza che gli italiani siano adeguatamente informati e coinvolti nelle decisioni, è pauroso.
Per capire la portata di una così spregiudicata decisione basta analizzare gli effetti sulla scuola. Non avremo più un unico sistema nazionale di istruzione, con alle proprie dipendenze oltre un milione di operatori scolastici, ma tanti sistemi regionali quante sono le Regioni con autonomia differenziata. Avverrà quello che in questi anni è successo nella sanità. Il personale in servizio, dirigente, docente, amministrativo e ausiliario passerà alle Regioni o forse rimarrà nei ruoli statali ad esaurimento. I nuovi assunti accederebbero, tramite concorsi regionali, obbligatoriamente ai ruoli regionali e le risorse finanziarie di cui ogni amministrazione scolastica potrà disporre verranno determinate in rapporto al reddito pro capite della regione di appartenenza. Precisamente, le Regioni del Nord che adotteranno la nuova autonomia godranno mediamente di una ricchezza doppia rispetto alle regioni meridionali, come doppio è mediamente il PIL: Nord 32%; Sud 17% (Istat 2017).
In altri termini nelle Regioni ricche: scuole ricche; nelle Regioni povere: scuole povere. Il Ministero della pubblica istruzione verrà svuotato e depotenziato delle sue principali funzioni e dei suoi apparati direzionali e ispettivi, con la conseguenza che non avremo più un unico centro di programmazione e indirizzo nazionale per le riforme, un coordinamento nazionale dei processi educativi, un controllo ispettivo centrale della gestione dei processi di cambiamento. Il disegno politico disgregatore dell’unità nazionale e della coesione sociale sta per realizzarsi con buona pace di quanti hanno creduto e dato fiducia, anche nelle ultime elezioni, a quelle forze politiche che sono le vere responsabili di un disastro annunciato.
Rino Dell’Anna